giovedì 28 febbraio 2013

BENEDETTO XVI HA ABDICATO IL 28 FEBBRAIO 2013 ALLE ORE 20.00



Rispettiamo una scelta decisiva, grave, e meditata
che porta all'interno e all'esterno della Chiesa Cattolica
una profonda riflessione critica sul suo agire.

Ricordiamo 
 la Vostra visita a Pompei 
del 19 ottobre 2008,
al Santuario della Beata Vergine del Rosario 
che tanto amate.


Santità, Ella sa
che da Pompei si pubblica on line 
per l'Anno della Fede, 
la maggiore iniziativa al Mondo
dell'Arte Sacra contemporanea;

il Poema visivo del XXI secolo :
il Volto del Mondo e la Croce 1993/2013
dedicato a tutti i Popoli del Mondo.

 Santità, il Vostro gesto 
è stato fortissimo e significativo

Grazie Santità, per aver insegnato al Mondo, 
nell'Anno della Fede, 
cosa sia il coraggio, la forza, la virtù, la carità, 
del vero Apostolo di Gesù Cristo.

Stefano Armellin



Pompei, giovedì 28 febbraio 2013 ore 20.00







POMPEI SALUTA BENEDETTO XVI


ultima benedizione


Una folla commossa ha partecipato, giovedì 28 febbraio, alle 19.00, alla santa Messa presieduta dall’Arcivescovo di Pompei, Mons. Tommaso Caputo, per ringraziare Papa Benedetto XVI, nel giorno in cui lascia il Pontificato.
La Chiesa di Pompei si sente particolarmente vicina al Santo Padre che, nel 2008, ha visitato la città mariana e spesso ha ricordato il Santo Rosario come “preghiera accessibile a tutti, vincolo spirituale con Maria per rimanere uniti a Gesù, per conformarsi a Lui, ed ‘arma’ spirituale nella lotta contro il male, contro ogni violenza, per la pace nei cuori, nelle famiglie, nella società e nel mondo”. Papa Benedetto fa, dunque, parte della storia di questa città che non dimenticherà mai quel giorno e l’affetto che le ha sempre dimostrato. Mons. Caputo, durante l’omelia,
ha sottolineato come la scelta del Santo Padre, seppur inaspettata e dolorosa, sia stata un’occasione di profonda riflessione per tutti: «Certamente possiamo dire che lo stupore provato nell’apprendere la notizia della rinuncia al ministero Petrino, è diventato man mano gratitudine per un grandissimo Papa, per la sua umiltà e il suo coraggio. È un atto che esalta il Papato e il Sommo Pontefice Benedetto XVI, in modo particolare. E noi – ha, poi, continuato - accogliamo allora nella fede la decisione di Papa Benedetto. È il frutto di una straordinaria umiltà e di una profonda intelligenza. Dobbiamo essere certi che in questo gesto vi è un segno dell’Amore di Dio e che sarà “per il bene della Chiesa”, come ha detto lui stesso».
Infine, ha ricordato ai presenti l’importanza dello stare uniti nella preghiera in questi «ultimi minuti del servizio di Papa Benedetto, ed essere certi che colui che guida la Chiesa, la barca di Pietro, è Gesù. È Lui che ha detto: “Io sono con voi fino alla fine del mondo”».
Al termine della celebrazione, Mons. Caputo ha letto ai fedeli il messaggio di gratitudine inviato al Papa per gli otto anni dedicati alla guida della Chiesa e dei fedeli di tutto il mondo, esprimendogli l’affetto della Diocesi mariana. Il testo inizia così: «Beatissimo Padre, la Chiesa in Pompei si stringe a Lei in un commosso e grande ringraziamento. Le vogliamo bene e desideriamo che ci sappia vicini, in preghiera e con l’affetto, mentre si apre per Lei una nuova fase nella Sua vita e nella vita della Chiesa. Siamo certi che vi è un disegno dell’Amore di Dio ed anche noi vi aderiamo nella fede e nell’assenso alla Sua volontà.
facciata

Stefano Armellin, Autore del Poema visivo del XXI secolo : IL VOLTO DEL MONDO E LA CROCE 1993/2013, vive e lavora a Pompei. 










Carissimi Fratelli,

vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa.

Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.

Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.

Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.

Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice.

Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.

Dal Vaticano, 10 febbraio 2013

BENEDICTUS PP XVI




L’annunzio delle dimissioni di un Papa è una notizia di portata storica. La rinuncia al ministero petrino è una notizia difficilmente addomesticabile. E’ una novità che coglie di sorpresa e sorprende. Ha ragione il Cardinal Sodano a dire che si è trattato di un “fulmine a ciel sereno”.
Alcuni hanno sovrapposto a quelle di Benedetto XVI le immagini di “Habemus Papam di Nani Moretti. Sbagliando completamente, a mio avviso. Perché? Cerco di spiegarlo…
Le analisi saranno numerose e così i commenti e le previsioni. Alcune, come è ovvio, si riveleranno corrette, altre errate. Dopo avere riflettuto “a caldo” mi sento di poter dire una cosa: sbagliano coloro che leggono il gesto del Papa come un gesto di semplice rinuncia a causa della debolezza fisica dovuta all’età.
Non credo affatto che la rinuncia al ministero petrino sia da attribuire alla stanchezza o a motivi simili.
1. Il Papa certamente afferma: “sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare il modo adeguato il ministero petrino”. Dice pure: “il vigore, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Queste parole sono da ricollegare a quanto il Papa aveva affermato nel libro intervista “La luce del mondo” dove aveva affermato che “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”.
2. Il Papa, probabilmente avendo anche in mente l’esperienza del suo predecessore, dice di essere ben consapevole che il ministero petrino deve essere compiuto “non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando“. Dunque Benedetto XVI sa bene che il ministero petrino può essere svolto anche in una condizione in cui le opere e le parole non possono essere esteriormente vigorose.
3. Il passaggio DECISIVO, a mio avviso, viene subito dopo, quando nel suo annuncio di dimissioni, il Pontefice scrive: “Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo”.QUI a mio avviso c’è il cuore del messaggio che il Papa vuole comunicare con il suo gesto.
Il Papa, cioè, intende spronare la Chiesa. Immagina una chiesa “vigorosa”, dunque coraggiosa nell’affrontare le sfide dei rapidi mutamenti (in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto) e le sfide delle questioni di grande rilevanza per la vita della fede (quaestionibus magni ponderis pro vita fidei). Il gesto del Papa non è affatto una rinuncia. Semmai è un gesto di umiltà e di libertà. Sa di aver svolto il suo ministero fino in fondo. Adesso si rende conto che la situazione che il mondo e la Chiesa vivono è completamente cambiata rispetto anche a pochi anni fa. C’è bisogno di vigore.
Lasciando il Pontificato Benedetto XVI sta dicendo qualcosa alla Chiesa di oggi, quella di non temere, di spendere le forze per aprirsi alle sfide e alle questioni, di non temere la rapidità e il peso dei mutamenti.
Il Papa sa che ci vogliono forze per tutto questo e, davanti a Dio e alla sua coscienza, si rende conto di non averle. Per questo lascia ad altri il testimone ritirandosi in preghiera e in silenzio. Ma, appunto, non senza dirci che la motivazione del suo gesto non è la rinuncia, ma una visione aperta sul mondo e la certezza interiore della vocazione della Chiesa. Benedetto XVI ha affrontato tantissime sfide. Adesso passa il testimone perché la missione sia sempre al centro. E lo fa con grande responsabilità e libertà di spirito. E’ un gesto che non si fa fatica a vedere collocato nel cuore stesso del suo Magistero.
E, infine, non dimentichiamo che appena pochi giorni fa, l’8 febbraio, parlando ai seminaristi in occasione della festa della Madonna della Fiducia, il Papa aveva lanciato un forte messaggio di ottimismo: “La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro”.
 Antonio Spadaro Direttore di Civiltà Cattolica

Papa: Introvigne (Cesnur), si conclude  il piu' grande pontificato per la difesa della  liberta' religiosa

Torino, 11 feb. - (Adnkronos) - ''Rispetto e commosso affetto''. Cosi' il sociologo torinese Massimo Introvigne, responsabile dell'Osservatorio della Liberta' Religiosa promosso dal Ministero degli Esteri commenta le dimissioni di papa Benedetto XVI. ''Si conclude - afferma il sociologo in una nota - quello che e' stato il piu' grande pontificato dal punto di vista della difesa della liberta' religiosa'' ''Dopo le intuizioni di Giovanni Paolo II - prosegue - vi e' stato un lavoro sistematico di analisi e di denuncia su quattro quadranti. Anzitutto, il pericolo del fondamentalismo islamico e del suo piano di distruzione delle cristianita' del Medio Oriente, sempre distinto dall'islam in generale evitando ogni facile islamofobia. Secondo, i regimi comunisti che ancora limitano o negano la liberta' religiosa, dalla Corea del Nord alla Cina, le cui vicende Benedetto XVI ha seguito con competenza e passione. Terzo, i nazionalismi a base religiosa induista o buddista che perseguitano i cristiani in Asia. Quarto, il laicismo intollerante e la dittatura del relativismo che minacciano la liberta' religiosa anche in Europa e in Occidente''. ''In modo meno visibile dal grande pubblico - aggiunge - Benedetto XVI ha offerto una straordinaria fondazione insieme teologica, filosofica e giuridica del diritto alla liberta' religiosa come diritto primo e fondamentale dell'uomo, contrastando sia il relativismo che confonde la liberta' religiosa con l'idea secondo cui in materia di religione non esiste la verita', sia l'ultra-conservatorismo che rifiuta in modo miope la proclamazione della liberta' religiosa nella dichiarazione 'Dignitatis Humanae' del Vaticano II, una delle bussole di questo pontificato. Questo contributo - conclude - rimarra' nella storia della Chiesa e segnera' certamente anche il prossimo pontificato, che si trovera' di fronte a battaglie difficilissime proprio sul fronte della persecuzione dei cristiani nel mondo e della liberta' religiosa".
(11 febbraio 2013 ore 18.32)

Dimissioni del Papa, evento «apocalittico»
di Massimo Introvigne11-02-2013
Le dimissioni di Benedetto XVI – cui in questo momento va tutto il commosso affetto di chi per anni su queste colonne ha commentato quotidianamente il suo Magistero – costituisce un avvenimento tecnicamente «apocalittico». Ma questa parola va intesa correttamente. Il riferimento non è alle bufale, che circolano ampiamente su Internet, sulle false profezie attribuite nel Rinascimento al santo vescovo irlandese Malachia di Aarmagh (1094-1148) o ad altri annunci della fine del mondo, del tutto estranei allo stile cattolico. L’aggettivo «apocalittico», ben compreso, non contiene nessuna predizione cronologica quanto alla fine del mondo, ma indica che viviamo in un tempo di estrema difficoltà per la Chiesa e per la società, in cui un processo plurisecolare di scristianizzazione si «rivela» come putrefazione finale, con una virulenza antireligiosa, anticristiana e anticattolica inaudita.

Nel celebre discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 e nella sua enciclica del 2007 «Spe salvi» – una grande enciclica, decisiva per l’interpretazione della storia, della cui insufficiente eco tra i cattolici il Papa ha avuto più volte a dolersi – Benedetto XVI ha mostrato precisamente come siamo arrivati davvero in fondo a un processo che ci ha progressivamente allontanato dalla sintesi di fede e ragione faticosamente costruita dall’Europa cristiana in tanti secoli di preghiera, studio e lavoro. Prima Martin Lutero (1483-1546), insieme al razionalismo del Rinascimento, butta via la ragione, aprendo la strada a un pericoloso fideismo e avviando la distruzione della cristianità medievale. Poi l’Illuminismo, con il pretesto di rivalutare la ragione, la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che dichiarava di voler salvare. In terzo luogo le ideologie del Novecento, criticando l’idea astratta di libertà dell’Illuminismo, finiscono per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Infine la quarta tappa: il nichilismo contemporaneo, caratterizzato da un relativismo aggressivo che diventa «dittatura» e attacca i santuari della vita e della famiglia.

Nell’enciclica «Caritas in veritate» del 2009 Benedetto XVI illustra come, diventando politica, la dittatura del relativismo si presenti insieme come attacco ai principi non negoziabili, anzitutto attacco alla vita, e come tecnocrazia. «La questione sociale è oggi diventata radicalmente questione antropologica», e – come ha ripetuto nel viaggio in Germania del 2011 e nello storico discorso al Parlamento tedesco, il Bundestag – ormai non si nega più soltanto la legge di Dio, si afferma pure che non esiste una legge naturale.

In molti testi, in particolare nei messaggi annuali per la Giornata Mondiale della Pace e nei discorsi rivolti ogni anno al Corpo Diplomatico, il Pontefice aggiunge che la gravissima negazione della libertà religiosa anche in Europa e in Occidente fa da inquietante sfondo a queste negazioni. Nel discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2012 il Papa mostra come la malattia della nostra civiltà sia arrivata a una fase davvero terminale con l’ideologia del gender e la teoria secondo cui non abbiamo una natura umana di uomo o di donna ma possiamo semplicemente inventarcela. «La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela». Ma «dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio». Che si sia potuti arrivare alla negazione di Dio e alla negazione dell’uomo mostra il carattere finale, dopo tante altre rivoluzioni, della «rivoluzione antropologica» dei nostri giorni.

Finale rispetto a un processo plurisecolare di attacco alla Chiesa, e dunque – ancora, senza nessun riferimento a una fine del mondo di cui sappiamo di non sapere né il giorno né l’ora – «apocalittico». A torto considerato poco interessato ai messaggi profetici, Benedetto XVI ne ha invece commentati a più riprese soprattutto due, che già da prima di diventare Pontefice lo hanno sempre interessato e ispirato, il messaggio di Fatima e le profezie di santa Ildegarda di Bingen (1098-1179).

Pellegrino a Fatima nel 2010, il Papa ha così riassunto il messaggio della Madonna del 1917: «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo». Al cuore del messaggio di Fatima vi è un giudizio sulla storia, e in particolare sulla storia moderna. Le tragedie annunciate a Fatima non sono finite con la fine delle ideologie del XX secolo e del comunismo, cui pure il messaggio del 1917 si riferisce. La crisi non è risolta. Da un certo punto di vista è oggi più seria che mai, perché è anzitutto crisi di fede, quindi crisi morale e sociale.

«La fede – sono ancora parole del viaggio in Portogallo – in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata» «Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna» All’interno stesso della Chiesa non mancano infedeltà, fraintendimenti, assenza di sano realismo. «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?».

E la stessa terza parte del segreto di Fatima – la visione di un Papa che muore raggiunto da «colpi di arma da fuoco e frecce» – nel viaggio del 2010 è stata riferita da Benedetto XVI non solo all’attentato al beato Giovanni Paolo II (1920-2005), cui lo stesso cardinale Ratzinger l’aveva collegata rivelandola al mondo nel 2000. Ma anche – le profezie hanno sempre più di un significato – agli attacchi rivolti alla stessa persona di Benedetto XVI, dall’esterno (i colpi di arma da fuoco, che partono da più lontano) della Chiesa ma anche dal suo interno (le frecce). «Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio – aveva detto ancora il Pontefice a Fatima – vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa».

Vi è qui un accenno alla questione dei preti pedofili – alla sua tremenda realtà, e insieme agli attacchi strumentali portati al Papa prendendola come punto di partenza – che ha indotto Benedetto XVI anche a rileggere e commentare le profezie anch’esse «apocalittiche», della suora medievale tedesca Ildegarda di Bingen, che ha voluto proclamare dottore della Chiesa nel 2012. Ai preti pedofili, e alla crisi nella Chiesa in generale – che è anche crisi di fedeltà al Papa e al Magistero – il Pontefice ha riferito un brano delle profezie d’Ildegarda, che ha voluto leggere integralmente nell’udienza del 20 dicembre 2010 alla Curia Romana, una delle udienze per gli auguri natalizi cui Benedetto XVI ha dato particolare importanza, pronunciando ogni anno un discorso riassuntivo dei temi centrali del suo Magistero nei dodici mesi precedenti.

Leggiamolo anche noi, leggiamolo con il Papa. «Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’ E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa. Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’. E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa’».

La decisione inattesa e storicamente unica di Benedetto XVI sarà ancora commentata nei giorni prossimi, da tanti punti di vista. Ma il giudizio sul carattere veramente «apocalittico» dell’ora presente – un giudizio molto articolato sulla storia, letta anche alla luce del messaggio di Fatima e delle profezie di santi come Ildegarda – è uno degli sfondi di questa sorprendente decisione.

Posted: 12 Feb 2013 01:19 PM PST
Le dimissioni di Benedetto XVI non sono soltanto una notizia esplosiva, ma un evento epocale, senza precedenti moderni (si può citare il caso di Celestino V, settecento anni fa, ma fu una vicenda diversissima in tutt’altro contesto).
Quello che accade davanti ai nostri occhi è un avvenimento che, per la sua stessa natura planetaria e spirituale, fa impallidire tutte le altre notizie di cronaca di questi giorni e certamente non ha alcun legame con esse (a cominciare dalle elezioni italiane).
Ieri Ezio Mauro, nella riunione di redazione di “Repubblica” trasmessa sul sito e che ovviamente è stata dedicata al pontefice, ha rivelato che Benedetto XVI è arrivato a questa decisione “dopo una lunga riflessione. Stamattina” ha aggiunto Mauro “ci hanno detto che la decisione l’ha presa da tempo e comunque l’ha tenuta segreta”.
In effetti la decisione risale almeno all’estate 2011 e non è più una notizia segreta dal 25 settembre 2011, quando, su questo giornale, io la portai alla luce, avendola saputa da diverse fonti, tutte credibili e indipendenti l’una dalle altre. In quell’occasione scrissi che il passaggio di mano era stato pensato, da Ratzinger, per il compimento dei suoi 85 anni, cioè nella primavera del 2012.
Sennonché due mesi dopo il mio articolo, nell’autunno del 2011, cominciò a scoppiare il caso Vatileaks e fu subito evidente che – finché non si fosse chiusa quella vicenda – il Santo Padre non avrebbe dato corso alla sua decisione.
Infatti nel libro intervista di qualche anno fa, “Luce del mondo”, con Peter Seewald, analizzando la cosa in via teorica, aveva spiegato che quando la Chiesa si trova nel mezzo ad una tempesta un Papa non può dimettersi.
Per questo l’11 marzo 2012, a un mese dall’85° compleanno del Pontefice (che è il 16 aprile), io scrissi su queste colonne: “va detto che la tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di stato, allontana l’ipotesi di dimissioni del papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità”.
Lo svolgimento dei fatti successivi conferma questa ricostruzione. Perché infine le dimissioni del Papa arrivano puntualmente un mese dopo la definitiva chiusura della vicenda Vatileaks, con la grazia concessa al maggiordomo Paolo Gabriele.
Segno che tali dimissioni effettivamente erano già state decise nell’estate 2011.
Ecco le ragioni addotte ieri dal Papa: “sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”.
Con la sua abituale limpidezza il Papa ha detto la semplice verità e ha fatto la scelta che ritiene migliore per il bene della Chiesa, fra l’altro una scelta di umiltà, che è un tratto importante della sua umanità e della sua fede.
Noi tuttavia possiamo e dobbiamo osservare che quasi tutti i papi precedenti sono invecchiati e sono rimasti in carica con forze ridotte, governando attraverso i loro collaboratori.
Si può dunque ipotizzare che Benedetto XVI non abbia ritenuto di fare questa scelta perché non giudica di avere collaboratori all’altezza di un tale compito (con le sue dimissioni tutte le cariche di Curia sono azzerate).
Di certo si può dire che Benedetto XVI è stato un grande pontefice e che il suo pontificato è stato – almeno in parte – azzoppato da una Curia non all’altezza, ma anche dalla scarsa rispondenza al Papa di parte dell’episcopato.
Joseph Ratzinger, che si conferma un papa straordinario anche con questa uscita di scena, ha portato la croce del ministero petrino certamente soffrendo molto e dando tutto se stesso (non gli sono mancate né le incomprensioni, né il dileggio).
E’ stata una pena vedere come il suo splendido magistero è rimasto spesso inascoltato.
Quando pubblicai il mio scoop scrissi che mi auguravo di essere smentito dai fatti e auspicavo che noi cattolici pregassimo perché Dio ci conservasse a lungo questo grande Papa.
Purtroppo molti credenti invece di ascoltare questo mio appello alla preghiera si scatenarono ad attaccare me, come se dare la notizia del Papa che stava pensando alle dimissioni fosse lesa maestà. Una reazione bigotta che segnalava un certo diffuso clericalismo.
Benedetto XVI – con la sua continua apologia della coscienza e della ragione – è fra i pochi con una mentalità non clericale.
Basti ricordare che non ha esitato a chiamare col loro nome tutte le piaghe della Chiesa e a denunciarle come mai prima era stato fatto.
Nella sua ammirevole libertà morale non esitò nemmeno a smentire qualche suo stretto collaboratore sul “segreto di Fatima”. Accadde nel 2010, quando decise un repentino pellegrinaggio al santuario portoghese e là dichiarò:
“Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa… Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima […] Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità”.
Un’espressione che certamente fa pensare (il centenario delle apparizioni di Fatima è il 2017), anche in riferimento ai famosi “dieci segreti” di Medjugorje.
D’altra parte lo stesso annuncio delle dimissioni è arrivato in una data gloriosamente mariana, l’11 febbraio ricorrenza (e festa liturgica) delle apparizioni della Vergine a Lourdes.
E’ facile prevedere che ora si scateneranno anche dietrologie fantasiose, si evocheranno i detti di Malachia, la monaca di Dresda e quant’altro.
Ma resta il fatto che il Papa, con la pesantezza epocale della decisione che ha assunto, pone tutta la Chiesa davanti alla gravità dei tempi che viviamo.
Gravità che la Madonna ha dolorosamente sottolineato in tutte le sue apparizioni moderne, da La Salette, a Lourdes, da Fatima a Medjugorje (passando per la misteriosa e miracolosa lacrimazione della Madonnina di Civitavecchia).
C’è solo da augurarsi che invece non si riferisca a questo nostro amato Papa, ciò che è stato attribuito a un suo predecessore, Pio X, che la Chiesa ha proclamato santo.
E’ un episodio che da qualche mese viene diffuso fra alcuni ambienti cattolici e anche in Curia.
Risulterebbe che Pio X, nel 1909, abbia avuto durante un’udienza una visione che lo sconvolse: “Ciò che ho veduto è terribile! Sarò io o un mio successore? Ho visto il Papa fuggire dal Vaticano camminando tra i cadaveri dei suoi preti. Si rifugerà da qualche parte, in incognito, e dopo una breve pausa morrà di morte violenta”.
Sembra che sia tornato su quella visione nel 1914, in punto di morte. Ancora lucido riferì di nuovo il contenuto di quella visione e commentò: “Il rispetto di Dio è scomparso dai cuori. Si cerca di cancellare perfino il suo ricordo”.
Da tempo circola questa “profezia” anche perché si dice che Pio X avrebbe altresì dichiarato che si trattava di “uno dei miei successori con il mio stesso nome”.
Il nome di Pio X era Giuseppe Sarto. Giuseppe dunque. Joseph. Mi auguro vivamente che non sia una profezia autentica o da riferirsi ad oggi.
Ma la sua diffusione segnala quanto il pontificato di Benedetto XVI – come quello del predecessore – sia circondato da inquietudini.
Del resto fu lui stesso a inaugurarlo chiedendo le preghiere dei fedeli per non fuggire davanti ai lupi. Il Papa non è fuggito.
Ha sofferto e ha svolto la sua missione finché ha potuto e oggi chiede alla Chiesa un successore che abbia le forze per assumere questo pesante ministero.
D’altra parte è evidente a tutti che da trecento anni il papato è tornato ad essere un luogo di martirio bianco, come nei primi secoli esponeva al sicuro martirio di sangue.
Infatti i tempi moderni si sono aperti con un altro evento mistico accaduto a papa Leone XIII, il papa della “questione sociale” e della “Rerum novarum”. Il 13 ottobre 1884 (il 13 ottobre peraltro è il giorno del miracolo del sole a Fatima) il pontefice ebbe una visione durante la celebrazione eucaristica.
Ne fu scioccato e sconvolto. Il pontefice spiegò che riguardava il futuro della Chiesa. Rivelò che Satana nei cento anni successivi avrebbe raggiunto l’apice del suo potere e che avrebbe fatto di tutto per distruggere la Chiesa.
Pare che abbia visto anche la Basilica di San Pietro assalita dai demoni che la facevano tremare.
Fatto sta che papa Leone si raccolse subito in preghiera e scrisse quella meravigliosa preghiera a San Michele Arcangelo, vincitore di Satana e protettore della Chiesa, che da allora fu recitata in tutte le chiese, alla fine di ogni Messa.
Quella preghiera fu abolita con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, la riforma liturgica che Benedetto XVI ha tanto cercato di ridisegnare.
Mai come oggi la Chiesa avrebbe bisogno di quella preghiera di protezione a San Michele Arcangelo.
Antonio Socci
Da “Libero”, 12 febbraio 2013
Vedi Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

Chi raccoglierà le chiavi di Pietro

La rinuncia di Benedetto XVI. Gli ultimi suoi atti. L'imminente conclave e i candidati alla successione. Le novità e le incognite di una decisione senza precedenti nella storia

di Sandro Magister

ROMA, 14 febbraio 2013 – La sera di un qualunque giovedì di Quaresima, alle ore 20 del 28 febbraio, Joseph Ratzinger farà dunque quel passo che nessuno dei suoi predecessori aveva osato. Deporrà sulla cattedra di Pietro le chiavi del regno dei cieli. Che un altro sarà chiamato a raccogliere.

C'è la forza di una rivoluzione in questo gesto che non ha eguali neppure in secoli lontani. Da lì in avanti la Chiesa entra in una terra incognita. Dovrà eleggere un nuovo papa mentre il predecessore è ancora in vita, e le sue parole ancora risuonano, e i suoi dettami ancora valgono, e la sua agenda ancora aspetta di essere compiuta.

Quei cardinali che la mattina di lunedì 11 febbraio sono stati convocati nella sala del concistoro per la canonizzazione degli ottocento cristiani di Otranto martirizzati dai turchi sei secoli fa sono rimasti attoniti nell'ascoltare Benedetto XVI, al termine della cerimonia, annunciare in latino la sua rinuncia al pontificato.

Toccherà a loro, a metà Quaresima, scegliere il successore. La domenica delle Palme, il 24 marzo, il nuovo eletto celebrerà la sua prima messa in piazza San Pietro, nel giorno dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme sul dorso di un'asina, acclamato come il "benedetto che viene nel nome del Signore".

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Sono 117 i cardinali che a metà marzo si chiuderanno in conclave, lo stesso numero di quelli che otto anni fa elessero papa Joseph Ratzinger al quarto scrutinio con più dei due terzi dei voti, in una delle elezioni più fulminee e meno contrastate della storia.

Ma questa volta sarà tutto diverso. L'annuncio delle dimissioni li ha colti di sorpresa come il ladro nella notte, senza che un lungo tramonto del pontificato, come era avvenuto con Giovanni Paolo II, abbia loro consentito di arrivare al conclave con delle opzioni già sufficientemente vagliate.

Nel 2005, la candidatura di Ratzinger non sbocciò all'improvviso, era già matura da almeno un paio d'anni, e tutte le candidature alternative erano l'una dopo l'altra cadute. Mentre oggi non è sicuramente così. E alla difficoltà di individuare i candidati si somma l'inedito incombere del papa dimesso.

Il conclave è una macchina elettorale unica al mondo che, affinata nel tempo, è arrivata nell'ultimo secolo a produrre risultati stupefacenti, elevando a papa uomini di qualità decisamente più alta del livello medio del collegio cardinalizio che li ha di volta in volta votati.

Per citare il caso più clamoroso, l'elezione nel 1978 di Karol Wojtyla fu un colpo di genio che rimarrà per sempre nei libri di storia.

E la nomina di Ratzinger nel 2005 non fu da meno, come hanno confermato i quasi otto anni del suo pontificato, segnati da una distanza invincibile tra la grandezza dell'eletto e la mediocrità di tanti suoi elettori.

In più, i conclavi si sono spesso caratterizzati per la capacità del collegio cardinalizio di imprimere al papato delle svolte. La sequenza degli ultimi papi è anche su questo istruttiva.

Non è una lunga fila grigia, ripetitiva e noiosa. È un seguito di uomini e di eventi segnati ciascuno da forte originalità. L'inaspettato annuncio del concilio dato da papa Giovanni XXIII a un gruppo di cardinali riuniti a San Paolo fuori le Mura non fu certo meno sorprendente e rivoluzionario dell'annuncio delle dimissioni dato da Benedetto XVI a un altro gruppo di cardinali stupefatti, pochi giorni fa.

Ma nelle prossime settimane accadrà qualcosa che non si è mai verificato prima. I cardinali dovranno valutare che cosa confermare o innovare rispetto al precedente pontefice con lui vivo. Di Ratzinger tutti ricordano e ammirano il rispetto con cui trattava anche chi gli era avversario: per il cardinale Carlo Maria Martini, il più autorevole dei suoi oppositori, ha sempre manifestato un'ammirazione profonda e sincera. Ma nonostante il suo promesso ritrarsi nella preghiera e nello studio, quasi in clausura, è difficile che la sua pur silenziosa presenza non pesi sui cardinali chiamati a conclave, e poi sul nuovo eletto. È inesorabilmente più facile dibattere con libertà e franchezza di un papa in cielo che di un ex papa in terra.

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Fino al 28 febbraio l'agenda di Benedetto XVI non subirà modifiche. Dopo il rito delle ceneri e una "lectio" ai preti di Roma sul Concilio Vaticano II, si affaccerà la domenica all'Angelus, terrà il mercoledì l'udienza generale, farà gli esercizi spirituali ascoltando le prediche del cardinale Gianfranco Ravasi, riceverà in visita "ad limina" i vescovi della Liguria capeggiati dal cardinale Angelo Bagnasco e poi quelli della Lombardia con alla testa il cardinale Angelo Scola.

Il caso vuole che proprio in uno di questi due cardinali egli potrebbe salutare il papa venturo.

In Italia, in Europa e nel Nordamerica la Chiesa attraversa anni difficili, di generale declino. Ma qua e là con risvegli di vitalità e di incidenza pubblica, anche inaspettati come di recente è avvenuto in Francia. Ancora una volta, quindi, i cardinali elettori potrebbero orientarsi su candidati di quest'area, che in ogni caso continua a detenere la leadership teologica e culturale sull'intera Chiesa. E proprio l'Italia potrebbe tornare in corsa, dopo due pontificati andati a un polacco e a un tedesco.

Tra i candidati italiani, Scola, 71 anni, appare il più solido. Si è formato come teologo nel cenacolo di "Communio", la rivista internazionale che ebbe Ratzinger tra i suoi fondatori. È stato discepolo di don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. È stato rettore della Lateranense, l'università della Chiesa di Roma. È stato patriarca di Venezia, dove ha dimostrato fattive capacità di governo e ha creato un centro teologico e culturale, il Marcianum, proiettato con la rivista "Oasis" verso il confronto tra l'Occidente e l'Oriente cristiano ed islamico. È da quasi due anni arcivescovo di Milano. E qui ha introdotto uno stile pastorale molto attento ai "lontani", con inviti alle messe in cattedrale distribuiti agli incroci delle strade e alle stazioni delle metropolitana, e con una cura particolare per i divorziati risposati, incoraggiati ad accostarsi all'altare per ricevere non la comunione ma una speciale benedizione.

Oltre a Scola, potrebbe entrare nella rosa nei candidati anche il cardinale Bagnasco, 70 anni, arcivescovo di Genova e presidente della conferenza episcopale italiana.

Per non dire dell'attuale patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, 60 anni, astro nascente dell'episcopato italiano, pastore di forte vita spirituale, molto amato dai fedeli. Il suo limite è che non è cardinale. Nulla vieta che possa essere eletto anche chi non fa parte del sacro collegio, ma persino il titolatissimo Giovanni Battista Montini, pur invocato come papa già nel 1958 dopo la morte di Pio XII, dovette aspettare di ricevere la porpora prima di essere eletto nel 1963 con il nome di Paolo VI.

Al di fuori dell'Italia, il collegio cardinalizio sembra orientato a guardare al Nordamerica.

Qui un candidato che può corrispondere alle attese è il canadese Marc Ouellet, 69 anni, plurilingue, anche lui formato teologicamente nel cenacolo di "Communio", per molti anni missionario in America latina, poi arcivescovo del Québec, cioè di una delle regioni più secolarizzate del pianeta, e oggi prefetto della congregazione vaticana che seleziona i nuovi vescovi in tutto il mondo.

Oltre a Ouellet, due nordamericani che riscuotono apprezzamento nel collegio cardinalizio sono Timothy Dolan, 63 anni, dinamico arcivescovo di New York e presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, e Sean O'Malley, 69 anni, arcivescovo di Boston.

Nulla però esclude che il prossimo conclave decida di abbandonare il vecchio mondo e aprire agli altri continenti.

Se dall'America latina e dall'Africa, dove pure risiede la maggior parte dei cattolici, non sembrano emergere personalità di spicco capaci di attrarre voti, non così avviene per l'Asia.

In questo continente, che si appresta a diventare il nuovo asse del mondo, anche la Chiesa cattolica gioca il suo futuro. Nelle Filippine, che sono l'unica nazione dell'Asia dove i cattolici sono maggioranza, brilla un giovane e colto cardinale, l'arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle, sul quale si appuntano crescenti attenzioni.

Come teologo e storico della Chiesa, Tagle è stato uno degli autori della monumentale storia del Concilio Vaticano II pubblicata dalla progressista "scuola di Bologna". Ma come pastore ha mostrato un equilibrio di visione e una rettitudine dottrinale che lo stesso Benedetto XVI ha molto apprezzato. Soprattutto colpisce lo stile con cui fa il vescovo, vivendo sobriamente e mescolandosi alla gente più umile, con grande passione missionaria e di carità.

Un suo limite potrebbe essere che ha 56 anni, un anno meno dell'età nella quale fu eletto papa Wojtyla. Ma qui torna in campo la novità delle dimissioni di Benedetto XVI. Dopo questo suo gesto, la giovane età non sarà più un ostacolo ad essere eletti papa.

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UNA SCOMMESSA SOPRANNATURALE

La rinuncia di Benedetto XVI al papato non è per lui né una sconfitta né una resa. "Il futuro è nostro, il futuro è di Dio", ha detto contro i profeti di sventura nella sua ultima uscita pubblica prima dell'annuncio delle dimissioni, la sera di venerdì 8 febbraio nel seminario romano.

E due inverni fa, parlando proprio delle sue possibili future dimissioni, aveva avvertito: "Non si può scappare nel momento del pericolo e dire: Se ne occupi un altro. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più".

Se ora dunque papa Joseph Ratzinger ha deciso in coscienza che la sua giornata di "umile lavoratore nella vigna del Signore" è arrivata al termine, è semplicemente perché ha visto avverarsi le due condizioni: il momento è sereno e il vigore per "bene amministrare" gli è venuto meno, sotto il peso degli anni.

In effetti, una tregua sembra essere intervenuta dopo le tante tempeste che si sono succedute nei quasi otto anni del suo pontificato. Una tregua che ha lasciato però intatte le posizioni di potere che in curia alimentano da molti anni il dissesto.

Saranno i due ultimi segretari di Stato, i cardinali Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, nessuno dei quali è innocente, a governare l'interregno tra un papa e l'altro, il primo come decano del collegio cardinalizio, il secondo come camerlengo. Ma entrambi usciranno poi definitivamente di scena. Per gli altri capi di curia lo "spoils system" che scatta per legge canonica ad ogni cambio di pontificato libererà il nuovo papa, se lo vorrà, dai cattivi amministratori della precedente gestione.

Nei suoi quasi otto anni di pontificato, Benedetto XVI è stato risoluto e lungimirante nell'indicare le mete e tenere dritta la barra del timone. Ma sulla barca di Pietro l'equipaggio non sempre gli è stato fedele.

È avvenuto così quando ha dettato una rigorosa linea di condotta per contrastare lo scandalo della pedofilia tra il clero, scontrandosi con applicazioni ipocrite e tardive.

È accaduto lo stesso quando ha ordinato pulizia e trasparenza negli uffici finanziari ecclesiastici, venendone disatteso.

È stato così quando si è visto tradito dal maggiordomo di sua fiducia, che gli ha violato i segreti e rubato le carte più personali.

Ma c'è di più. Papa Ratzinger si è battuto prima di tutto e sopra tutto per ravvivare la fede della Chiesa, per correggere i suoi sbandamenti nella dottrina, nella morale, nei sacramenti e nei comandamenti. E anche qui spesso si è trovato solo, osteggiato, incompreso.

È stata insomma una riforma incompiuta, quella perseguita da Benedetto XVI. Dimettendosi, ha riconosciuto di non poterla più condurre avanti con le sue deboli forze. E si è affidato al conclave perché elegga un nuovo papa con l'energia necessaria per fare l'impresa.

La sua è una scommessa soprannaturale che ricorda quella del suo predecessore Giovanni Paolo negli ultimi dolorosi anni della sua vita.

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Tra gli analisti della Chiesa, è il professor Pietro De Marco dell'università di Firenze che ha colto con più acutezza il significato dell'audace rinuncia di Benedetto XVI.

La differenza sembra abissale tra l'attuale papa e il suo predecessore Giovanni Paolo II, che invece di dimettersi volle fino all'ultimo "restare sulla croce". Ma non è così.

Papa Karol Wojtyla affidò al carisma del suo corpo malato un guadagno spirituale per la Chiesa che sovrastasse la crescente inefficienza del suo governo.

Mentre Benedetto XVI affronta un rischio simmetrico: affida il governo della Chiesa, cioè il suo "bene", alle forze integre di un suo successore, invece che ai benefici spirituali offerti da un prolungato consegnarsi alla propria debolezza, restando in carica.

Il carisma di Giovanni Paolo II e la razionalità di Benedetto XVI sono le due facce inscindibili dei due ultimi pontificati, la cui cifra sono i rispettivi atti finali.

È dunque insensato vedere nelle dimissioni dell'attuale papa l'alba di una nuova prassi che obbligherà i futuri pontefici a dimettersi per infermità o per carico d'anni, magari sotto l'arbitrato di una giuria visibile o invisibile fatta di medici, di vescovi, di canonisti, di psicologi.

La decisione di un papa di dimettersi o di restare in carica a vita è sempre e soltanto sua, nell'ordinamento della Chiesa. La sua rinuncia, Benedetto XVI l'ha decisa "in coscienza davanti a Dio" e non l'ha sottoposta a nessuno. L'ha semplicemente annunciata.

E con ciò ha rimesso tutto nelle mani imponderabili del prossimo conclave e del futuro pontefice. Commenta De Marco:

"La posta in gioco, per quanto attiene al giudizio umano, è enorme. Ma in questo confido: come il sovrano rischio di Giovanni Paolo II di governare la Chiesa col suo essere sofferente ha ottenuto il miracolo dell'elezione di papa Benedetto, così il rischio, altrettanto radicale, di Benedetto di riconsegnare la guida della Chiesa a Cristo perché ne dia il peso a un nuovo papa in forze, otterrà un altro pontefice all'altezza della storia".

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I due articoli di Sandro Magister sono usciti su "L'espresso" n. 7 del 2013, in edicola dal 15 febbraio.

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