Effettuato il tradimento, Giuda fugge e si nasconde in un rifugio, dove attende che Gesù muti strategia, compia qualche segno impressionante (Lc 28,30; Gv 7,30), vinca gli aggressori e inauguri un governo politico.
Le sue previsioni svaniscono rapidamente, perché constata che egli adotta con gli aggressori una resistenza passiva (Mt 27,3). Non immaginava che giungesse al punto di lasciarsi umiliare, maltrattare, condannare a morte e crocifiggere. Ricordando l’ammonimento di Gesù sul tradimento, avverte che la coscienza lo accusa d’aver commesso una sequenza d’errori paradossali.
Pervaso da una forte crisi interiore, tenta di sgravarsi dall’angosciante peccato. Entra nel recinto del tempio, dove incontra i sacerdoti e gli anziani, che presumono di aver ottenuto un’ottima vittoria su Gesù. Spera che lo liberino dall’opprimente colpa. Dice, infatti, a loro: «Ho peccato, perché ho tradito il sangue innocente» (Mt 27,4).
Essi rimangono freddi e indifferenti alla sua sincera confessione. Non condividono la sua afflizione, né cercano di svincolarlo dai suoi incubi. Evitano di dirgli: ci assumiamo la responsabilità per l’accaduto; offriamo a Dio un sacrificio per te, perché egli ti perdoni, ti liberi dalla tortura del rimorso e t’infonda la sua pace.
Proferendo una semplice e beffarda battuta, gli attestano la loro supposta estraneità sulla condanna a morte di Gesù: «Che ci riguarda? Veditela tu!» (Mt 27,4). Girano così le spalle a Giuda ed egli rimane in balia del suo rimorso. Si squalificano nella loro missione misericordiosa e svincolante.
Scartato da costoro, egli perde la coscienza della sua dignità. Smarrisce il senso della sua vocazione ad entrare nella bellezza del Regno di Dio.
Scaglia sul pavimento del tempio le monete d’argento, prezzo del tradimento.
Reputa assurdo riavvicinarsi a Gesù e riprendere nuove relazioni con Lui. Gli sembra ridicolo salire sul Calvario, stare accanto all’albero della Croce e sperare di ottenere da Lui il perdono, la giustificazione e la rivalutazione.
Non aspetta nemmeno di ricuperare dagli apostoli un briciolo di stima, di fiducia, di comprensione e di cooperazione. Teme anzi il loro rimprovero e il loro linciaggio.
Emarginato e avvilito, entra nel vortice della inquietudine, dell’agitazione, della depressione e dell'ossessione sul proprio fallimento, fenomeno rarissimo nel mondo biblico, ma oggi ricorrente negli agnostici, nei malviventi, nei malati psichici e in coloro che hanno perduto il prestigio personale.
Sente dentro di sé impulsi di sconforto, di abbattimento, di autopunizione e di autodistruzione. Rinuncia esporsi ad ulteriori rischi e affaticamenti, scagliandosi contro qualcuno. Ritiene ragionevole e giusto scansare i rimproveri degli apostoli, infierire sul proprio corpo, suicidarsi, annullarsi e scomparire alla svelta.
Padre Felice Artuso