giovedì 24 febbraio 2011

1062 di 2013 ; Padre nelle tue mani affido il mio spirito

Stefano Armellin con il pezzo 1062 di 2013
 del Poema visivo del XXI secolo :
IL VOLTO DEL MONDO E LA CROCE 1993/2013




Titolo : 7. Padre, nelle tue mani affido il mio spirito(Lc 23,46). Di Padre Felice Artuso.



Il senso dell'invocazione. Fin dalla fanciullezza Gesù s'interessa di Dio Padre, che ama tutti i suoi figli (Lc 2,49).

Agisce nel nome del Padre, che lo ha inviato nel Mondo. Confida nella sua potente assistenza e protezione.

S’intrattiene familiarmente con Lui, origine e apice di ogni vita.

Gli dedica ampi spazi di tempo, per conformarsi al suo piano salvifico. Trascorre qualche notte in preghiera, per parlargli con fiducia e mantenere con Lui un affettuoso rapporto (Mc 1,35.39; Lc 9,28). 

Lo supplica con fede nelle circostanze decisive per sé o per i suoi discepoli.

Lo invoca, chiamandolo: Abbà, papà (Mc 14,36; Lc 6,12-16), appellativo non usuale nelle preghiere, adottate dai popoli. Lo loda, perché mediante la sua persona si rivela ai piccoli, agli umili, ai semplici ed ai senza pretese .

Educa i suoi discepoli a rivolgersi a Dio con affetto filiale, attenendosi al proprio insegnamento.
Durante la Passione, lacerato dalle torture, conserva la sua intima relazione con il Padre e prosegue ad invocarlo (Lc 22,42; 23,34; Gv 8,29). Prima di perdere il controllo della coscienza, di emettere l'ultimo respiro e di distaccarsi da questo tempo per entrare nell’eternità divina, si associa al popolo che prega nel tempio o nelle sue residenze. 

Lancia un grido, nel quale restituisce al Padre la “ruah”, il soffio vitale, l’io individuale (Mt 27,50; Gv 19,30), che forma e modella la sua persona. Assegna il Suo Spirito a Dio Padre, signore di tutto il creato. Gli cede il principio vitale, l’essenza invisibile, uniforme, insolvibile e immortale, che il suo corpo mortale non riesce più trattenere.

Restituisce al Padre l’Anima che caratterizza il vigore, l’intelligenza, le emozioni, la dignità, la sublimità e il destino finale della persona. Consegna a Dio quell’elemento, che da parte degli uomini è sempre stato oggetto di indagine, analisi, discussione e confutazione.
Nel battesimo e nella trasfigurazione Dio Padre ha parlato al Figlio e si è compiaciuto di quanto egli compiva e insegnava (Lc 3,22; 9,35). Ora è il Figlio che parla al Padre e gli dice: «… nelle tue mani affido il mio Spirito» (Lc 23,46). 

Avrebbe potuto asserirgli: o Padre, ti consegno la mia vita, che è pienezza di grazia. Preferisce invece dire a Lui: ti consegno lo Spirito, che Tu mi hai dato, per governare il mio corpo e per vivere incessantemente unito te.

Depongo nelle tue mani la parte migliore di me stesso, la fonte del mio essere e del mio operare. Tu l’hai consegnata a me nel momento dell’Incarnazione. Io ho terminato la mia Missione nel Mondo. Sono arrivato all’ora del mio ritorno a Te. 

Ti consegno quindi la mia Anima, che forma la struttura della mia interiorità ed esteriorità. La pongo interamente nelle tue mani, quale atto conclusivo della mia vita temporale. So che ti appartiene (Sal 16,5). Confido che tu la accolga, la introduca nella Tua casa e la custodisca per sempre. 

Affido anche alla Tua paternità il mio corpo, dilaniato dagli uomini. Attendo che Tu lo vivifichi e lo glorifichi. Sigillo con quest'ultimo atto d'amore tutto il mio cammino ritmato da annunci, discussioni, dissensi, chiarificazioni, sospiri, lacrime, patimenti, fedeltà e rassicuranti attese.

Padre Felice Artuso

"La realtà del male, dell'ingiustizia che deturpa il Mondo e insieme inquina l'immagine di Dio, questa realtà c'é : per colpa nostra. Non può essere semplicemente ignorata deve essere smaltita.

Dio stesso si pone come luogo di riconciliazione e, nel suo Figlio prende la sofferenza su di sé.

Dio stesso introduce nel Mondo come dono la sua infinita purezza.

Dio stesso -beve il calice- di tutto ciò che é terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore, che attraverso la sofferenza trasforma il buio.

Obiettivamente, il Vangelo di Giovanni (specialmente con la teologia della Preghiera sacerdotale) e la Lettera agli Ebrei (con l'intera interpretazione della Torà cultuale nella prospettiva della teologia della Croce) hanno sviluppato proprio questi pensieri e così al tempo stesso

hanno reso evidente come nella Croce si compie l'intimo senso dell'Antico Testamento, non soltanto la critica cultuale dei profeti ma, positivamente, anche ciò che sempre era stato il significato e l'intenzione del culto".

Benedetto XVI