Il Popolo giudaico, salito presso il Calvario, fa un’esperienza simile a quella di Mosè. Intende divertirsi, osservando lo spettacolo (theoria) della agonia e della morte di Gesù, che segnano il compimento della Rivelazione divina.
Guarda Lui, senza essergli ostile o favorevole. Non condivide i sentimenti avversi dei capi, dei soldati e di uno dei malfattori, ma assume un atteggiamento neutrale (Lc 23,35.36.39).
Vedendo che soffre con grande amore fino alla morte, s’interroga sulle ragioni che lo ha mosso ad accettare questo atroce martirio e ne trae le conseguenze.
Si dissocia anzitutto da coloro che reputano giusta la Sua crocifissione e la Sua morte. Riconosce d’aver sbagliato nell’aver chiesto a Pilato che lo condannasse all’orribile pena della crocifissione. Si pente di aver peccato e rientra in Città, «percuotendosi il petto» (Lc 23,35).
Rappresenta l’umanità, chiamata a dare segni di contrizione, perché con i propri peccati ha causato la morte di Gesù.
Prima del suo olocausto ha percorso un rovinoso cammino d’odio e di violenza. Dopo il suo cruento sacrificio deve compiere un’inversione di marcia, che si traduce nell’intraprendere una vita tutta dedita a gesti di amore sincero.
Instaurerà così quell’umanesimo nuovo, voluto da Dio e manifestato da Gesù crocifisso.
Al racconto di Luca il vangelo apocrifo di Pietro aggiunge un’esclamazione, che riflette la problematica religiosa e politica del cristianesimo antico: «Allora i giudei, gli anziani e i sacerdoti, resisi conto del male che si eran procurato, cominciarono a battersi il petto, esclamando:
“Ahi per i nostri peccati! Il giudizio e la fine di Gerusalemme sono vicini”».
Ogni persona si preoccupa, pensando alla propria morte, perché la percepisce come un’umiliante ingiustizia. Il cristiano tuttavia non si spaventa di dover morire e si prepara al suo decesso, ritenendolo un evento necessario per immettersi nella luce e nella gloria di Dio (1 Pt 2,9).
Allora contemplerà quanto Dio ha preparato per tutti quelli che lo amano (1 Cor 2,9).
Padre Felice Artuso
LA TRAVERSATA DELLE ALPI DI STEFANO ARMELLIN
Da San Martin de Vesubie alle Tre Cime di Lavaredo, percorso svolto dal 30 giugno al 12 agosto 1991 in 44 giorni :
27 di 44 giorni. 26 Luglio 1991. Valsesia Riva Valdobbia (m slm 1112); Col Mud (m slm 2324), Rima (m slm 1417).
Solo ti senti padrone della tua Vita
si respira meglio lo spazio del Cielo
che questa mattina é come d'autunno
sugli alberi le idee: Assisi 1986 é un punto fermo,
THE OPERA é una linea dinamica.
Si tratta di attivare un catalizzatore di intenti per generare un movimento unito interdisciplinare e internazionale. E tutto dipende da una perfetta organizzazione culturale professionale.
La condizione spirituale necessaria la espone molto bene David Maria Turoldo nel suo libro : il Vangelo di Giovanni.
Dopo il Colle Mud non ho più riferimenti geografici precisi, vado avanti d'istinto, non ho pianificato nulla. In questa fase della traversata e fino al suo termine ho scelto di affidarmi al caso, tenendo come traccia la linea ideale che parte dal Monte Rosa e arriva alla Trinità passando per il filtro della fantasia.
Ora, nasce l'impresa come opera d'arte. Rinuncio in modo definitivo alla dimensione alpinistica e affronto il rapporto con la realtà della vita.
Lascio la delicata illusione di una purezza che non é mai esistita per tentare di capire l'intreccio esistente fra natura e tecnologia.
Segue
Stefano Armellin