Ritengono che egli chiede al Padre la ragione che lo ha indotto a nascondersi a Lui e agli uomini. Quando pregano, recitando questo salmo, si associano quindi alle sofferenze di Gesù e a quelle dei loro fratelli. Si immedesimano nel drammatico svuotamento di Gesù e nelle afflizioni degli innocenti perseguitati.
In seguito appaiono delle nuove interpretazioni alla preghiera di Gesù. Qualche copista reputa che Gesù crocifisso si senta smarrito e castigato da Dio. Pertanto scrive che egli esterna così il suo angoscioso tormento: "O Dio, perché mi hai maledetto?". Altri copisti cambiano la sua invocazione in questo modo: "O Dio, perché mi hai umiliato?".
La Peshitta, versione siriana dal greco, reca quest’altra interpretazione: "O Dio, perché hai allontanato da me la mia salvezza". Il Vangelo apocrifo di Pietro, scritto all’inizio del secondo secolo, attribuisce invece a Gesù questa supplica: "O mia forza, mia forza, tu mi hai abbandonato!" (Pt 5,19).
I Padri della Chiesa sanno che Gesù concentra in se stesso i dolori personali e collettivi. Mantengono l’interpretazione, espressa dai primi cristiani. Pensano che Gesù interroga il Padre nel nome dei peccatori, che hanno conosciuto il male e li invita a lodare con gioia Dio, che toglie ogni angustia e introduce nella gloria celeste (Sal 22,28.30).
Sant'Agostino, portavoce più persuasivo dei Padri, stima che Dio non ha lasciato solo Gesù, perché non poteva abbandonare se stesso: «Dio non lo aveva abbandonato, essendo egli stesso Dio; perché il Figlio di Dio è Dio, come il Verbo di Dio è Dio» .
San Leone Magno asserisce che Gesù si è lamentato, perché parlava a Dio in nostra vece: «In Cristo una è la persona di Dio e dell'uomo, perciò non poté essere abbandonato da chi non poteva essere separato. È invece in persona di noi, paurosi e deboli, che egli chiede come mai la carne, timorosa della sofferenza, non sia stata esaudita» .
San Massimo di Torino condivide la stessa opinione del Papa Leone I. Afferma che Gesù si sentiva abbandonato da Dio a causa delle nostre infedeltà: «Parla così per rendere manifesto che egli era stato abbandonato per causa nostra, di noi dei quali portava i peccati» . Gli altri Padri della Chiesa mantengono la stessa interpretazione".
(Segue) Padre Felice Artuso
Per dipingere la Croce con cognizione di causa bisogna identificarsi con essa. Viverla in prima persona, essere la Croce. Come hanno fatto tutti i Profeti...i miei autoritratti in Croce rimandano il visitatore al pellegrinaggio che ho fatto dalla Porta Santa ad Assisi nel 1997, le foto di quyesto pellegrinaggio integrano il primo pezzo del Poema visivo del XXI secolo.
Dopo anni trascorsi da questa esperienza continuo l'Opera per dire come nell'Arte e la Croce, parafrasando San Paolo, non sono più io che vivo ma é l'Arte e la Croce che vive in me nonostante i miei limiti oggettivi di essere umano.
Stefano Armellin, Pompei, lunedì 2 marzo 2015
Golgota. La Crocifissione é una delle immagini più penetranti. Sono innumerevoli le rappresentazioni pittoriche, scritte e orali, prodotte in ogni continente. Da bambini siamo immersi in questa immagine. La Crocifissione fa parte della coscienza spirituale del Mondo e di gran parte dell'umanità.
E' un evento istantaneo non trascorso perché eterno. Qui e ora. Stefano Armellin
"La Trinità dovrebbe essere concepita come un avvenimento dialettico e più precisamente come l'avvenimento della Croce, e quindi come storia escatologicamente aperta, il rapporto tra il Figlio e il Padre non é ancora pienamente realizzato, come attesta 1 Corinti 15, fino a quando il Figlio non avrà consegnato al Padre il Regno, e Dio sarà : Tutto in tutte le cose. 1 Corinti 15,28
Pensare escatologco significa pensare una cosa alla fine.
Negli ultimi tempi il mediatore si dissocierà dal mezzo, affinché i credenti possano rivolgersi immediatamente a Dio stesso.
In Romani 6,8 il credente prende realmente parte della sofferenza di Dio nel Mondo, perché partecipa della Passione dell'amore divino. Ma prende anche parte alla sofferenza del Mondo, perché sulla Croce di suo Figlio Dio l'ha resa sofferenza propria". Balthasar