Stefano Armellin con il pezzo 717 di 2013
del Poema visivo del XXI secolo : IL VOLTO DEL MONDO E LA CROCE 1993/2013
Titolo : Topor : " Altra propietà dell'uomo si è che laddove la superiorità, laddove la virtù congiunta alla fortuna non produce se non un interesse debole, cioè l'ammirazione; per lo contrario la sventura in qualunque caso, ma molto più la sventura congiunta colla virtù, produce un interesse vivissimo, durevole e dolcissimo.
Perocchè l'uomo si compiace nel sentimento della compassione, perchè nulla sacrificando, ottiene con essa quel sentimento che in ogni cosa e in ogni occasione gli è gratissimo, cioè una quasi coscienza di proprio eroismo e nobiltà d'animo.
La sventura è naturalmente cagione di dispregio e anche d'odio verso lo sventurato, perchè l'uomo per natura odia, come il dolore, così le idee dolorose.
Mirando dunque, malgrado la sciagura, alla virtù dello sciagurato, e non abbominandolo né disdegnandolo quantunque tale, e finalmente giungendo a compassionarlo, cioè a voler coll'animo entrare a parte dé suoi (3108) mali, pare all'uomo di fare uno sforzo sopra se stesso, di vincere la propria natura, di ottenere una prova della propria magnanimità, di avere un argomento con cui possa persuadere a sé medesimo di esser dotato di un animo superiore all'ordinario;
tanto più ch'essendo proprio dell'uomo l'egoismo, e il compassionevole interessandosi per altrui, stima con questo interesse che niun sacrifizio gli costa, mostrarsi a sé stesso straordinariamente magnanimo, singolare, eroico, più che uomo, poichè può non essere egoista, e impegnarsi seco medesimo per altri che per sé stesso.
L'uomo nel compatire s'insuperbisce e si compiace di sé medesimo: quindi è ch'egli goda nel compatire, e ch'ei si compiaccia della compassione.
L'atto della compassione è un atto d'orgoglio che l'uomo fa tra sé stesso.
Così anche la compassione che sembra l'affetto il più lontano, anzi il più contrario, all'amor proprio, e che sembra non potersi in nessun modo e per niuna parte ridurre o riferire a questo amore, non (3109) deriva in sostanza (come tutti gli altri affetti) se non da esso, anzi non è che amor proprio, ed atto di egoismo.
Il quale arriva a prodursi e fabbricarsi un piacere col persuadersi di morire, o d'interrompere le sue funzioni, applicando l'interesse dell'individuo ad altrui. Sicchè l'egoismo si compiace perchè crede di aver cessato o sospeso il suo proprio essere di egoismo". Giacomo Leopardi, dallo Zibaldone
Il rito della professione religiosa di Padre Felice Artuso
I riti d’iniziazione religiosi hanno caratteristiche suggestive e coinvolgenti. I postulanti buddhisti iniziano il cammino di ascesa spirituale, adottando questa procedura: si radono i capelli e la barba; indossano l’abito arancione; si inginocchiano davanti ai monaci e dichiarano per tre volte: «Io mi rifugio nel Buddha, nella sua Dottrina, nel suo Ordine» .
Nel rito di iniziazione induista il novizio riceve dal suo maestro il nome di una divinità, che non conosce. Egli l’accetta, si vincola per sempre ad essa e la invoca personalmente, confidando che lo aiuti ad affrontare le difficoltà della vita .
Il popolo d’Israele ricorda le tappe principali della sua storia in cui riconosce che Dio ha compiuti molti intervennti in suo favore; lo ha scelto tra le genti, lo ha consacrato a sé, lo ha liberato dalla schiavitù degli Egiziani, ha stipulato con lui l’alleanza del Sinai e lo ha introdotto nella terra promessa (Dt 26,5-11). Ammette che, osservando fedelmente il dono della legge, vivrà nella libertà da ogni male, tenderà alla santità, sperimenterà le benedizioni divine e diverrà uno strumento di salvezza per tutti popoli della terra (Es 19,4-6; 20,1 ss; Dt 7,7ss).
In Gesù Cristo Dio consacra a sé tutta l’umanità e la chiama ad un cammino di perfezione (Ef 1,4.10). La Chiesa antica, che ne è cosciente, dà un forte rilievo ai riti dell’iniziazione cristiana come anche al rito della professione religiosa.
Conseguito un esame di idoneità, il vescovo ammette le giovani al rito della professione religiosa, che già indossano una tunica, distinta da quella delle altre coetanee. Svolge una celebrazione, che ha aspetti simili al rito del matrimonio: formula una preghiera, impone un velo sulla loro testa e inserisce un anello al loro anulare, simbolo di un vincolo con il Signore.
Introduce invece i giovani alla vita totalmente consacrata al Signore, adottando una parte del rito battesimale. Accoglie infatti la loro rinuncia al peccato e li riveste di un nuovo abito, segno dell’appartenenza a Dio, della configurazione a Gesù e dello sviluppo della dignità cristiana.
Emesso un voto specifico, le giovani e i giovani si distaccano liberamente dalle attrattive terrene e si lasciano pervadere dall’amore sponsale del Signore. Si considerano morti ai corteggiamenti umani e si consegnano a Gesù Cristo, sposo esemplare della loro vita. Si vincolano di più a Lui, si lasciano permeare dalla sua potente grazia, che li santifica e prepara all’unione definitiva del Cielo. Nell’attesa di accedere alla gloria eterna, partecipano alle celebrazioni liturgiche della comunità locale, annunciano il Vangelo alla gente e soccorrono i sofferenti nel corpo e nello spirito. Segue
Padre Felice Artuso
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